(La seconda brillante indagine dell’ex commissario Emma Carbone.)

Uno

Ero così contenta quella mattina.

Accendo il PC con dieci minuti esatti di anticipo, appuntamento in video con la questura di X. Non dirò il nome del paese, non voglio dare alla storia più risalto di quanto ne stia già avendo, ma ho bisogno di raccontarla.

L’orologio sopra la cucina indica le 9 e 50, seduta al tavolino davanti alla finestra attendo l’avvio del sistema. Non mi piace arrivare in ritardo e so bene quanto gli aggeggi elettronici possano tradirti quando meno te lo aspetti. Nelle ultime due settimane riesco a tenere le tende aperte quasi tutta la mattina, poi verso mezzogiorno le devo chiudere. L’orario varia dalle 12 e 18 alle 13 e 25. Sono tende spesse, bianche e rugose come vecchie lenzuola, che lasciano passare la luce ma non mi fanno vedere il cielo, ho problemi col cielo.

Sono le 9 e 55, apro il link che mi è stato inviato, spengo microfono e telecamera, e mi alzo. Verso la tisana del mattino nella tazza col gatto nero, ne bevo un sorso, inspiro, sono nervosa, ho i palmi sudati. Purtroppo la tisana non aiuta come speravo, così cammino avanti e indietro nel corridoio. Dovrei far riverniciare le pareti. Si vedono i mattoni e c’è anche un po’ di muffa negli angoli, non va bene. Questa vecchia casa colonica mi rispecchia perfettamente, solo cinque anni fa certi lavoretti li avrei sbrigati in un lampo, sotto lo sguardo ammirato di Giulio e la testa riccia di Alessia a rimproverarmi perché sono troppo esigente. “Imperator Furiosa” mi chiamava, come in quel film con le macchine nel deserto. Se solo mi vedesse adesso.

Forse dovrei chiudere le tende prima del colloquio nel caso durasse troppo. Ho il viso più pallido del solito, non è solo la mancanza di sole, è la tensione. Per non apparire come una pazza reclusa ho raccolto i capelli e rifatto la tinta, e ho messo un filo di trucco. Nel silenzio da obitorio di casa mia sento scattare le lancette dell’orologio della cucina.

9 e 59. Mi siedo e accendo la telecamera, sistemo la camicetta azzurra, il colletto, mi centro per bene nel riquadro della webcam. Il sole mi acceca attraverso la tenda, punto lo sguardo sul bottone verde di Meet, non ci voglio pensare, non ci devo pensare, sono perfettamente al sicuro qui.

Il commissario Cingolani si presenta alle 10 e 18, sono esattamente 18 minuti che non riesco a tenere ferme le ginocchia. Appena vedo comparire il suo nome, clicco su “Accedi” e, dopo un breve lampo lattiginoso, appare una scrivania di formica, lo schienale di una sedia verde, uno scaffale a vetri con faldoni ammucchiati. Nel riflesso sulle ante una figura si muove, la schiena di una giacca o qualcosa del genere.

“Ci mancava solo la consulente esterna” dice una voce che bisbiglia seccata. “Come se non avessimo abbastanza rogne con i giornali e queste stramaledette mascherine!”

La figura passa davanti alla webcam, è un uomo alto, corpulento, vestito con un completo marrone ben stirato, torna agitando un quotidiano.

“Tie’, leggi qua,” sta dicendo. “Che c’entra la pandemia con questa che scivola nel bagno? Leggi, Mancini, leggilo tutto. Fa una serie di congetture strampalate sul fatto che nessuno se ne è accorto, che le forze dell’ordine se la prendono solo con i bravi cittadini e bla  bla. Ma te lo dico io quello che sta succedendo qui: Verri, l’articolista, lavora per quel mafioso di Traini, e il questore è un cacasotto e ci appioppa la consulente esterna. È stata una disgrazia, si vede lontano un chilometro: una poveraccia è caduta male e ci è rimasta secca. Non possiamo mica indagare per mesi ogni incidente domestico. E questa?” conclude alzando di un’ottava la voce. L’uomo si ferma davanti alla webcam, si deve essere accorto che sono due minuti che sto ascoltando i suoi sproloqui. Sì, la consulente esterna che nessuno vuole sono proprio io.

Sorrido e tossicchio: “Buongiorno.”

Lui avvicina la sedia, si arrabatta a cercare nei cassetti per darsi un contegno, di certo non ricorda il mio nome, tira fuori una mascherina bianca e la indossa con nervosa lentezza. Decido di essere clemente: “Emma Carbone, piacere. La consulente.”

“Piacere, Cingolani, il commissario” risponde e si schiarisce la gola. Ha un viso rotondo e un po’ schiacciato come un vecchio carlino paffuto, avrà una settantina d’anni, non è esattamente un bell’uomo.

Dovrei essere offesa per quello che ho sentito, dovrei farmi valere, ma so bene cosa significhi essere un commissario di polizia, le pressioni a cui si è sottoposti perfino in un piccolo pacifico comune come X. Un subdolo senso di vergogna mi colora le guance, ho paura che vedano la tensione, che capiscano che sono inadeguata, mi sento come nell’incubo in cui entro nuda in classe e i compagni scoppiano a ridere. Vorrei chiudere le tende, mi gira la testa ma stringo i denti e lascio sibilare l’aria fuori in modo che porti via i brividi dal cuore e dalla spina dorsale.

“Buongiorno, ehm, benvenuta?” Un uomo dai capelli nerissimi e folti si affaccia di lato, giusto un po’ di bianco sulle tempie. Indossa occhiali sottili che evidenziano uno sguardo scuro, sopracciglia folte, un naso importante. Sorride e sfoggia una posa alla Clooney, sa di essere fotogenico.

“L’ispettore Mancini, immagino.” Tengo le mani sotto al tavolo, gioco con le dita, di solito mi aiuta a calmarmi quando ho gli attacchi. Vorrei alzarmi e chiudere le tende.

“In persona, piacere.”

“Mancini, la cosa…” Il commissario lo redarguisce indicandosi la bocca. Mancini alza gli occhi al cielo, mette la mascherina mentre si siede accanto a lui accavallando le gambe.

“Vogliamo cominciare?” chiedo. La sola idea che arrivi mezzogiorno mi fa accelerare il battito cardiaco, strofino le mani sui pantaloni sotto al tavolo.

“Non so se ha letto il fascicolo” butta lì il commissario.

“Maide Capriotti commessa, 52 anni, coniugata con Tonino Ferri, giornalista locale, vedova da un anno e mezzo” recito a memoria. “Trovata morta nel bagno di casa sua, trauma cranico da impatto con il lavello avvenuto lunedì scorso tra le ore 20 e le ore 21.”

“Chiaramente un tragico incidente domestico.”

“Così sembrerebbe.”

“Sembrerebbe?” il commissario alza le spalle, incalza il collo nelle spalle. “Non c’è stato furto, non ci sono segni di colluttazione né di effrazione, lo avrà letto nel fascicolo.”L’ho letto e ho visto le foto della scena. Una bella casa a due piani, grande per una donna sola, ma un po’ trascurata. Una vecchia utilitaria sullo spiazzo di cemento, una strada stretta di campagna piena di buche, vive isolata. La donna, capelli corti e brizzolati, magra, giace riversa sulle piastrelle pulitissime del bagno, le braccia all’indietro, un asciugamano arancione le è scivolato dai fianchi, gli occhi vitrei iniettati di sangue guardano la pancia di un lavandino lucido di ceramica rosa.

“La prima ipotesi è l’incidente domestico” aggiunge Mancini accomodante. “Il medico legale in prima analisi non ha trovato segni di violenza, la caduta è accidentale, magari ha avuto un mancamento, in ogni caso il decesso è causato dall’urto alla tempia. Un’autopsia potrebbe chiarire le cause dello svenimento, magari una patologia occulta, ma dobbiamo chiedere autorizzazione al figlio.”

“L’unico figlio” sottolinea il commissario sporgendosi in avanti.

“Mattia Ferri, 28 anni, studente di Architettura, se non erro, attualmente residente a Pavia. E non ha altri parenti?”

“Pare di no.”

“Cosa sappiamo su di lei?”

L’ispettore si gratta sotto alla mascherina. “Incensurata, riceve solo bollette alte del gas perché ha sempre freddo, e i depliant della Bofrost. Nell’ultimo mese e mezzo ha collezionato quattro multe per divieto di sosta, lavora nello stesso supermercato da trent’anni dove per Natale la gratificano con un buono sconto e un panettone.”

“Come mai non ci sono queste informazioni nel fascicolo?” chiedo mentre scorro le pagine del pdf, poi mi accorgo dell’ironia, ma ormai è troppo tardi.

“Sono informazioni ottenute per via ufficiosa dal vicinato, o meglio dalla vicina che sta a un chilometro da lei e le porta la posta quando incappa nel postino nuovo, quello bello.”

“Mancini” lo rimprovera il commissario. “La smetti?”

“E gli indirizzi IP?” aggiungo e vedo il commissario aggrottare le sopracciglia. “Pagina quattro del fascicolo, il foglietto trovato sul comodino, foto numero due e tre.”

Il commissario scartabella. “Ah, sì. Un foglietto a quadretti con dei numeri sopra, e allora?”

Mi mordo il labbro inferiore, i riflessi del sole lambiscono il portatile, fisso l’abbacinante merletto e mi accorgo che le nuvole che velavano il cielo si sono spostate, posso sentire il calore dalla finestra, non riesco ad alzare gli occhi, il cuore si dimena contro la cassa toracica come una scimmia in gabbia.

“Sono i numeri che si usano per identificare i siti su internet” interviene Mancini.

Il commissario si gira a guardarlo perplesso, ne approfitto per respirare.

“Scusate” arrabatto una frottola, “si deve essere bloccata la rete. Sì, sono gli indirizzi dei siti web e di tutto quello che gira in internet.”

“E allora?”

“Avete trovato un computer in casa?”

“No, non mi pare.”

“Ma c’è un router della Telecom.”

Mancini tira indietro la testa, il commissario lo guarda di nuovo, io apro le mani per sottolineare l’ovvio: “La signora Capriotti in Ferri è una commessa della Coop, ha un diploma professionale di orlatrice, cosa se ne fa di un router per Internet e di indirizzi IP se non ha un computer? Ha un compagno, magari?” 

Il commissario scuote la sua testa da carlino e cerca conforto in Mancini.

“Non che io sappia. Magari usa il cellulare” azzarda lui.

“Lo avete trovato?”

“Non lo abbiamo cercato.”

“Anche ammettendo che ne avesse uno, che cosa c’entrano i PIP con il fatto che è caduta nel bagno?”

“Indirizzi IP, non PIP, commissario.”

“Fa lo stesso, Mancini, fa lo stesso.”

Il commissario mi fissa attraverso la telecamera, i suoi occhi nocciola vogliono risposte. Io vedo la morta, i suoi occhi fissi, e i ricordi mi bruciano come un bagno d’acido. Il sole, i riflessi brillanti come fiamme che corrono sulla tastiera, la tenda, la finestra, il maledetto cielo azzurro, il vento, è troppo.

“Io ci… ci devo pensare, scusatemi…” balbetto. Abbasso lo schermo del portatile, la sedia viene catapultata a terra, corro in camera da letto a rannicchiarmi sotto le coperte.

Due

Sono le 15 e 25 quando riesco a uscire dal mio bozzolo. Ho le spalle irrigidite e le gambe stanche, devo aver dondolato parecchio, era da tanto che non mi succedeva. Respiro, mi metto seduta con i cuscini a sostenermi la schiena, conto fino a dieci prima di strapparmi di dosso la coperta e posare i piedi a terra. Ho lasciato le finestre aperte e ora la casa è gelata. Bel lavoro, Emma, proprio un bel lavoro. Torno in cucina e artiglio le tende, le chiudo imprecando, poi butto la tisana fredda nel lavello. Ho fatto la figura dell’idiota! Non potevo almeno aspettare che finissero di parlare e inventare una balla? Mi viene da piangere: era la mia occasione, potevo sfruttarla, tornare a essere utile e invece…

Un bip mi avvisa di una nuova e-mail, leggo l’oggetto: ‘Tutto bene?’

“Sì, una meraviglia” rispondo al monitor.

‘Le chiedo scusa anticipatamente se questa mia le risulterà inopportuna ma ha chiuso la comunicazione così repentinamente che ho temuto un malore. Spero di risentirla presto. Cordialità. Ispettore Andy Mancini.’

“Andy?” sorrido, poi appoggio la testa sul tavolino. Quanto devo essergli sembrata patetica.

Grazie del suo interessamento, ispettore. Le posso assicurare di godere di ottima salute ma, mio malgrado, sono incappata in uno spiacevole imprevisto che mi ha costretta a chiudere la comunicazione. Mi dolgo per l’imperdonabile scortesia e provvederò a porgere le mie scuse personalmente al commissario. Le auguro buona giornata e buon lavoro, Emma Carbone.’

Ho una parete dove tengo tutte le foto del mio passato, vecchie facce, sogni infranti e memorie troppo dolci per essere vere. Mi rifugio lì quando ho bisogno di conforto, sono certa di aver bruciato per sempre ogni possibilità. C’è una foto che mi piace molto, ci sono io seduta su uno scoglio con Alessia sulle ginocchia, aveva otto anni. Paffutella, riccia, col costumino rosso fuoco e lo zaino. Mi devo sedere, sento fischiare le orecchie.

Di nuovo un bip e una nuova e-mail.

‘Mi rallegro di saperla in buona salute, mi rendo altresì conto di aver iniziato io la missiva dal tono vetusto, inutilmente eufonico e pomposo, che l’ha costretta a replicare in siffatta maniera. Perdoni il mio ardire ma le spiacerebbe passare a un fraseggio più colloquiale e, lungi da me la tentazione di importunarla eccessivamente, utilizzare pronomi meno formali? Andy. P.S.: vergognandomi per il comportamento disdicevole le lascio il mio numero di cellulare poiché gradirei conferire con ella circa le indagini.’

Le indagini? Picchietto sul tavolo con l’unghia dell’indice. Le indagini.

“Pronto? Ispettore Mancini?”

“In persona, chi parla?”

“Sono Carbone, Emma.”

“Ah.”

“E possiamo darci del tu, certo.”

“Per quanto disdicevole.” Ridacchia.

“Mi spiace per aver chiuso in quel modo.”

“Non mi devi spiegazioni Emma, di certo avrai i tuoi problemi.”

“Grazie” dico e mi si secca la gola. Lo so che lo ha detto in maniera innocente, ma le sue parole mi fanno male e butto fuori aria con le labbra che tremano.

“Emma? Ci sei?” chiede alzando la voce. Si sente un motore, il vento dal finestrino. Lui è fuori, all’aria aperta, sotto il cielo, sotto il blu.

“Sono qui.” Tossicchio. “Di cosa volevi parlarmi?”

“Del router Telecom. Come facevi a sapere che ce n’era uno?”

Sbatto le palpebre. “Era nelle foto.”

“Davvero?” Sento scartabellare, poi un clacson. “Un secondo che accosto, prima che ammazzi qualcuno.” Il click clack della freccia, il freno a mano. “Eccomi. Sto guardando le foto.”

“Quella dell’ingresso, dove si vede la porta della cucina sulla destra, una vetrinetta di legno, un divano e il lato di una dispensa.”

“Sì, mi pare tutto in ordine. E?” fa lui.

“Sopra al mobile, in alto, dietro a una coppa dorata, si vede il router acceso, il led blu. Forse non è un Telecom, ma mi sembra proprio quello.”

“Minchia.”

“Cosa?” guardo il telefono come se fosse rotto.

“Ho detto: minchia. Espressione vernacolare di provenienza siciliana utilizzata per esprimere il mio sincero apprezzamento per il tuo spirito di osservazione. Io ho impiegato venti minuti a trovarlo ed ero nella stanza.”

“E il cellulare? Un tablet? Trovato qualcosa?”

“Niente.”

“È strano.”

“Sì, abbastanza. Che ne pensi di un furto finito male? Un balordo si introduce in casa sua con una scusa, prende computer e cellulare, lei lo scopre, si spaventa, scivola e cade.”

“Non credo. Non sarebbe rimasta nuda in bagno in tal caso.”

“Vero, però magari qualcuno ha suonato al campanello, la poverina è scivolata e non lo sapremo mai.”

“Possibile. Come se la passava economicamente?”

“Non credo benissimo dopo la morte del marito, pare avesse debiti. Così dice il bollettino del vicinato.”

“E il figlio?”

“È a Pavia, lo abbiamo avvisato per telefono, ma non può scendere a causa della zona rossa. Ma perché ne parliamo?”

“Beh, per il momento è una sensazione, sarà per il modo in cui è caduta.”

No, è il modo in cui mi guarda, penso.

“Cioè?”

“Nella foto si vede chiaramente che ha un tappetino antiscivolo.”

“Sì eccolo. In effetti è strano, ma può essere ancora solo una sfortunata coincidenza.”

“Può darsi.”

“Forse il router e relativo computer sono del figlio. Il computer è a Pavia, il router è rimasto qui.”

“Non lo so.” Serro le labbra.

L’ispettore ridacchia: “C’è un però nell’aria o sbaglio?”

“Perché tenerlo acceso? Perché pagare il canone? Il figlio è via da un anno.”

“Magari non sa nemmeno che è acceso.”

“Col cavo che penzola? Il resto della casa è in ordine, pulito, secondo me è installato da poco e di fretta. Vorrei fare un giro di telefonate dei negozi nelle vicinanze.”

“Se ci vuoi perdere tempo, male di certo non farà. Degli indirizzi IP cosa mi sai dire?”

“Devo fare qualche ricerca, mi ci metto subito.”

“Ti ci vorrà molto? Deve essere una cosa complicata.”

“No, in realtà non lo è, ci sono dei servizi internet che ti danno le informazioni e ho qualche amico che può darmi una mano.”

“Bel modo di spendere i soldi pubblici” commenta. “Scherzo, fammi sapere.”

Chiudo e asciugo una lacrima con l’indice, poi apro le Pagine Gialle e giro gli indirizzi a Giovanna.

Tre

“Let me play.” L’ispettore Mancini legge dalla chat, nel rettangolo della webcam vedo avvicinarsi il suo viso abbronzato sullo sfondo di un quadro tropicale e un divano celeste. “Quindi, se non ho capito male, il primo IP è di proprietà di una società con sede a Malta, la T.Trade LTD, e fa capo al dominio letmeplay.it, un sito di scommesse sportive.”

“Esatto. La T.Trade ha anche diversi punti scommessa in Italia.”

“E gli altri IP?”

“Gli altri sono parte di un range acquistato da un provider.”

“Lo fai di proposito per far sentire idioti gli altri o è perché devi far vedere di essere una consulente con i contro cosi?”

Raggelo. “No, cioè, un range è un insieme di indirizzi consecutivi, e un provider è un’azienda che ti fornisce il servizio internet.”

L’ispettore scuote la testa. “Ti sto prendendo in giro, Emma.”

Deglutisco. “Scusa.”

“E di che?”

Non lo so nemmeno io di che! Sorrido ebete. Il mio cervello accelera ma senza ingranare la marcia, sono in camera da letto, al buio, con solo la luce azzurra del monitor. Sento come una presenza nel corridoio, è la luce rossa del sole che scivola verso di me, sono le 18 e 42, devo annotarlo nel diario.

“Emma?”

“Sì?”                         

“Eri immobile.”

“Qui la rete prende poco” mento, cercando di non sudare.

“Non potresti accendere la luce? Vedo solo una specie di fantasma blu.”

Allungo una mano.

“Oh, meglio. Quindi?”

Mi schiarisco la gola. “Dovrebbero arrivarmi dei tabulati prossimamente, magari riesco a capire chi usa gli altri IP, ammettendo che non siano dinamici.”

L’ispettore sventola la mano e sorride. “Va bene, va bene, mi fido.”

“Ho fatto il giro dei negozi di elettronica” continuo. “Ne ho trovati quattro in zona e li ho chiamati.”

“Ma tu di dove sei?”

“Abito a X” taglio corto.

“Interessante, non ti ho mai vista, e pensa che conosco praticamente tutti, qui.”

Rimango in silenzio. Lui passa la mano sul colletto della camicia. “Che hai scoperto dai negozi?”

“Che ha firmato il contratto due mesi fa.”

“Ci hai preso. Uno a zero per te.”

“Il proprietario del negozio mi ha detto che la ricordava bene perché, cito testualmente, la tipa non aveva idea di quello che stava comprando e mi chiedeva le cose leggendole da un foglietto a quadretti.”

“A quadretti?”

“Così ha detto il commesso.”

“È importante?”

“Non in sé, però mi fa pensare che abbia preso appunti.”

“Farsi consigliare un apparato elettronico non è propriamente illegale” fa lui mostrando i denti. Sorseggia da una tazzina.

“No, non lo è, ma è sospetto il fatto che abbia comprato anche un portatile, e un iPhone.”

L’ispettore stringe le labbra. “È un po’ strano nel contesto, te lo concedo, però magari era un regalo per il figlio, o voleva tenersi in contatto video, di questi tempi è normale. Certo l’iPhone è un bel regalo.”

“Sono mille e ottocento euro in totale, ha comprato un gran bel portatile, una grossa somma per essere una che non se la passa molto bene, e troppo solo per potere vedere il figlio in chat, se la cavava con trecento euro al massimo.”

“Cosa non si fa per i figli, eh?” L’ispettore solleva le sopracciglia folte, ha voglia di scherzare, e poi la stoccata: “Tu ne hai?”

Il mio cuore si spezza. “No” rispondo.

“Io nemmeno.”

“Non più” continuo con un filo di voce.

Lui scatta sul divano, guarda intorno. “Non potevo immaginare, perdonami.”

“Di niente.” Inghiotto. “Ci sentiamo domani, va bene?”

“Davvero, scusami, sono stato indelicato.”

“Non importa.” Scivolo giù per il pozzo oscuro che è diventata la mia anima.

“Come…”

“Ci, sentiamo domani, ok? Ti faccio sapere.”

“Grazie.”

Spengo la luce.

Quattro

Non dormo e non sono sveglia, è tutto un sogno confuso. Dapprima il sole, il cielo azzurro e il caldo, poi il rombo sordo del ghiaione che frana, io che allungo le braccia e sfioro le sue dita e la terra ci travolge. Lo vivo e rivivo cento volte per notte.

Sono seduta in cucina dalle 5 e 2 minuti, le tende sono ancora tirate, non ho affatto intenzione di aprirle. Quando è scoppiata la pandemia e tutti erano chiusi in casa o a sbattere pentole dai balconi, io mi sono sentita bene, una gioia malvagia.

Arrabatto una tisana con i rimasugli del sacchetto, il ragazzo che mi porta la spesa non arriverà prima di venerdì e ho già finito tutto. Mentre aspetto che l’acqua si scaldi guardo il mio personale Muro del Pianto. Vorrei dire che i sorrisi di Alessia, le smorfie di Giulio o le mie targhe premio mi sono di conforto, ma non è così, scavano solo più a fondo nella poltiglia che è dentro di me. Però c’è la foto del primo giorno al commissariato, io con dieci anni di meno, un bel tailleur, la scrivania. Cerco un brandello di normalità in questa farsa di lavoro, qualcosa che risuoni con la mia vita di prima. Le indagini, le scartoffie, la giustizia. Cosa c’è di sbagliato nel volerlo ancora? Devo tornare a crederci o finirò per ingoiare un tubo di Paroxetina. Metto le mani tra i capelli, ho bisogno di una doccia, e un pensiero mi taglia il cervello come una coltellata.

“Pronto, ispettore?”

“Emma. Sono le sei e mezza!”

Il sole sta sorgendo, un gallo canta. Giro le spalle alla finestra.

“Lo so, scusa.”

“Senti, ci ho pensato riguardo ieri sera …”

“Non c’è acqua.”

“Dove?”

“Nel bagno, nella foto, non c’è acqua.”

“Si sarà asciugata.”

“Anche i capelli? Rimettendoli in piega?”

“Non è detto che volesse farsi la doccia.”

“Si è spogliata completamente, senza aprire l’acqua, e si è messa un asciugamano intorno al corpo?”

“Non lo so, la gente fa cose strane quando è sola.”

“Chi ha scritto gli indirizzi sul foglietto?”

“Maide?”

“Esatto. La calligrafia è femminile, sono certa sia sua.”

“E allora? Se è lei o no che differenza fa?”

“Fa differenza se è stata lei a scriverli, qualcuno glieli ha dettati. E soprattutto perché li ha scritti? E perché non una e-mail o un messaggio su Whatsapp? Chi se ne intende, anche poco, non scrive quei numeri su un pezzo di carta, li copia e incolla, mi spiego? Hai parlato con il figlio?”

“Mi stai facendo paura, lo sai? No che non ci ho parlato, sono le sei e mezza del mattino!”

“6 e 41. È importante, cerca di farlo il prima possibile, magari sa qualcosa. Ah, e poi ci sono le multe.”

“Non so di che parli.”

“Le multe per divieto di sosta, me l’hai detto tu. Dove sono state fatte?”

“Boh. Non so nemmeno se è vero.”

“Puoi farmelo sapere?”

L’ispettore sbuffa e borbotta. “Va bene, per me stai vaneggiando, però la questione dei capelli è seria. Facciamo così: ci vediamo a casa della Capriotti fra un’oretta. Se ti fermano ci penso io. Chiamo i ragazzi e analizziamo per bene il bagno. Tu parli con il figlio e ti levi il pensiero, ok?”

“Io non…”

“C’è qualche problema? Facciamo fra due ore.”

Cazzo, cazzo, cazzo. Passo le mani sulle braccia, fa improvvisamente freddo, ho la fronte imperlata di ghiaccioli, devo rispondere qualcosa, devo aprire le labbra e inventare una scusa, che ho la febbre, che mi sono rotta una gamba, qualsiasi cosa, ma riesco solo a pensare al cielo azzurro, al caldo soffocante, alla terra che mi schiaccia, alla terra che uccide Alessia, alle mie mani tese verso di lei e le vertigini mi fanno venire da vomitare. Corro in bagno con la mano alla bocca, sento la voce metallica dall’apparecchio: “Ci sei? Ehi? Pronto?”

Esco dal bagno dopo un’ora e dieci minuti, l’ispettore ha chiuso la chiamata, ha riprovato per tre volte, ma io non riesco a girare la maniglia e il cellulare è sul pavimento del corridoio.

Cinque

Sono le 10 e 40 quando squilla il telefono. Sono uscita dal bagno chiudendo gli occhi e tappandomi le orecchie. L’idea di essere indifesa sotto al cielo azzurro ha riportato alla mente troppo dolore, l’infinita angoscia dell’impotenza, e ho provato il desiderio di farla finita, l’ho scritto subito nel diario. Sono la peggior nemica di me stessa. Giulio me lo ripeteva spesso, specialmente durante il divorzio, ora capisco bene cosa volesse dire. Non riesco a fermare i pensieri, non riesco più a dare il giusto valore, la corretta priorità alle cose, e mi spaventa tutto. Lo sguardo vitreo di quella povera donna non mi dà pace, non riesco a togliermi dalla testa l’orrore, e mi ritrovo con la mano fredda di Alessia nella mia, sommerse dalla terra, arse dal sole, in attesa che arrivino i soccorsi.

“Pronto?”

“Finalmente rispondi. Si può sapere che è successo? Vieni o no?”

“No.”

“Potevi dirlo subito. Volevo essere gentile ma il mio lavoro lo so fare da me, grazie.”

“Non è quello, è che non posso.”

“Sei molto impegnata, ok, capito.”

“Non posso venire lì!”

“Ho capito! E mi sbatti il telefono in faccia?”

“Non posso, Andy, io non posso.” Le parole escono dalla bocca come caramelle sputate, stringo il telefono così forte che lo sento scricchiolare nelle orecchie.

“Non sono stupido e sono grande abbastanza da accettare che non siano affari miei, ma pretendo un minimo di rispetto.” La sua voce è secca, un deserto.

“Agorafobia” sussurro come una moribonda. Non dovrei dirlo ma, cazzo, mi faccio schifo in questo momento. Ho chiesto a Giulio un favore, l’ho pregato di farmi lavorare come consulente, di trovarmi qualcosa, ed ecco come sono ridotta. Cosa mi è passato per la testa? Cosa credevo di fare?Scivolo con la schiena lungo la parete delle fotografie, la gola chiusa e la mascella che mi fa un male cane. Non voglio piangere al telefono, questo no, ho ancora un briciolo di orgoglio. “Avrei dovuto dirtelo prima, hai ragione, è che non è facile parlarne.” Tiro fuori le parole non so da dove e chiudo gli occhi per non vedere la mia miseria.

“Questo spiega molte cose” commenta lento e distante, lo so che ha capito tutto, lo sento nelle ossa. “Quindi? Cioè, voglio dire, come svolgi il tuo lavoro?”

“Non lo so” piagnucolo mentre batto la nuca sul muro. “Ci possiamo sentire dopo?”

“Ok. Sarò diretto. Se vuoi lavorare con me non raccontarmi cazzate. Prendere o lasciare.”

“Prendo” bisbiglio, col telefono sulle ginocchia.

“Eh?”

“Va bene” dico a voce alta.

“Ottimo.” Lo sento tamburellare sulla scrivania, strascica le parole. “Mi hanno confermato che l’acqua era chiusa e i capelli della donna asciutti e in piega. Il commissario ha deciso di proseguire con le indagini anche se discretamente. Il figlio al momento è irreperibile, stanno rilevando le impronte ma è incensurato.”

Io apro la bocca ma escono solo vocalizzi smozzicati, non so cosa dire.

“Se hai altre idee mandami un’e-mail.” Chiude.

Silenzio.

Il computer trilla, è Giovanna: ‘Ciao bella, come stai? In allegato il tabulato che mi hai chiesto. È criptato con la solita password. Come sempre io non so niente, mi serve lo stipendio. Gio.’

Scorro i numeri, sono gli IP pubblici di un’azienda di import-export, la Magnolia srl con sede a X, in via Murri, tutt’ora in utilizzo. Alzo le spalle, cosa dovrei farmene? Su Facebook digito Mattia Ferri. Il viso troppo serio di un giovane col ciuffo castano e gli occhi color miele mi fissa, ha il naso grosso del padre. Mafo per gli amici.

Mafo: addio papà. Non lo meritavi.

Vince: Condoglianze amico.

Cleo19: Mi spiace davvero tanto.

Luca B.: Ma come è successo?

Non lo meritavi?

Mafo: a tutti quelli a cui frega qualcosa di me. Cambio facoltà.

Cleo19: eh?! Perché?

Vince: E dove vai?

Enzo P: Ti metti a fare il farmacista? 😀

Mafo: No Architettura.

Cleo19: Architettura? E dove?

Mafo: A Pavia.

Paola L: Bella Pavia! Vai a vedere il Duomo, è fantastico.

Vince: Ma che idee del cazzo Mattia…

Sgrano i post come un rosario, piano piano scompaiono le foto con gli amici, spariscono le risate.

Mafo: potete consigliarmi un sito che spieghi come funziona il wi-fi?

Cleo19: a che ti serve?

Mafo: voglio rapinare una banca.

Cleo19: Scemo. Ti mando un paio di pdf architetto.

Mafo: ho preso un virus!

Cleo19: a furia di siti porno… J.

Mafo: non dire cagate! Ho scaricato un software ma il sito non era sicuro.

Vince: Che software?

Mafo: Fatti i cazzi tuoi. Ho il pc piantato, mi aiutate o no?!

Mi stringo nelle braccia, ogni giorno più arrabbiato, ogni giorno più solo, lo capisco.

Mafo: domanda per i nerd: un iPhone funziona meglio come hotspot di un Android? Mi serve una risposta adesso!

“Che cosa hai combinato?” chiedo al monitor. “Che stavi facendo?”

Sei

L’ispettore non ha più chiamato.

‘Cronaca locale. Continuano da giorni le ricerche di Mattia Ferri, figlio di Tonino, firma ben nota nel panorama locale, venuto a mancare all’incirca due anni fa. È tra i sospettati per l’assassinio della madre, Maide Capriotti, trovata cadavere nel suo bagno. L’ispettore Mancini, incaricato delle indagini, sostiene che il giovane sia in zona, poiché il suo veicolo è stato multato dalle telecamere della ZTL di via Mazzini ma, nonostante i posti di blocco prontamente istituiti, del ventottenne ancora non vi è traccia.’

Nel profondo sapevo che era così, dal primo istante che l’ho guardata in volto. Forse io avevo lo stesso sguardo quel giorno, non lo so, Alessia lo aveva. Un misto di paura, delusione, stupore, rabbia. Magari sono io che la vedo così.

Il mio istinto ulula. Cosa c’è di tanto importante in quel computer da giustificare un simile atto? L’orologio della cucina ticchetta inesorabile da quattro giorni. Non apro le tende, non cambio aria, non preparo la tisana, niente della mia rassicurante routine mi può aiutare. Mi lascio cadere sulla sedia, devo lavarmi, prendermi cura di me ma non riesco, non posso far finta di nulla. Qual è il movente? Dov’è fuggito Mattia? Maide, glielo devo, mi sono introdotta senza diritto nella sua morte e ora non posso abbandonarla, non posso fermarmi. C’è qualcosa che non torna, che non ha senso, è come un’ape che mi ronza nel cervello, e l’unica cosa che posso fare è scavare con le mani nel fango del web.

‘Cronaca locale. Disputa tra il sindaco Pieragostini e l’imprenditore Traini, titolare della Magnolia srl. La richiesta di approvare i lavori di ampliamento ed eliminare la zona a traffico limitato tra via Mazzini e via Murri, avanzata più volte dal Traini, non può essere accolta a causa dei vincoli del codice stradale, dichiara il sindaco ai nostri microfoni. Traini ha minacciato di spostare gli uffici della sua azienda fuori dai confini di X, lasciando intendere licenziamenti e rappresaglie.’

Non posso staccarmi dal monitor, lavoro al buio, ho mangiato un pacchetto di crackers ieri alle 15 e 12.  Gli occhi bruciano ma so che non ho collegato tutti i puntini. Cerco nelle notizie tutte le parole chiave che mi vengono in mente.

IP pubblici della Magnolia, tra via Murri e via Mazzini. Apro un file di testo, copio dentro i pezzi che trovo, non penso, le mani si muovono da sole.

‘La Magnolia chiude i battenti e si trasferisce. A qualcuno non importa delle famiglie di onesti lavoratori? Di chi sto parlando? Dell’amministrazione comunale e, lo dico senza peli sulla lingua, del sindaco Pieragostini, che sta ostacolando in tutti i modi l’onesta attività di uno dei nostri più stimati cittadini. Il tutto in un periodo difficile, anzi critico, come quello che stiamo vivendo. Certo i licenziamenti sono ancora congelati, ma cosa accadrà appena terminato lo stato di emergenza? Per ora è tutto dal vostro Andrea Verri. Come sempre seguite il mio podcast per sapere la verità!’

Strappo via gli auricolari e tuffo la testa tra le mani, mi manca l’aria e stavolta non è la paura del cielo, ma la sensazione di uno schema. Torno indietro tra gli appunti.

‘Cronaca locale. Tonino Ferri si è tolto la vita questa notte in un cantiere nei pressi della statale 35 all’altezza di San Martino Siccomario in provincia di Pavia. Il giornalista era di ritorno da un’intervista con un imprenditore di cui i familiari non hanno saputo riferire il nome’

Ho capito tutto!

“Andy?”

“Emma, stai bene?”

“Andy, non c’è tempo.”

“Hai davvero dei modi del cazzo…”

“No. Non sto bene, affatto, sto piangendo come una fontana da stamattina ma credo di sapere dov’è Mattia Ferri.”

“Davvero?!”

“Ti mando le coordinate.”

“Ma è un punto a caso in mezzo alla campagna. Che ci fa lui lì? Come lo sai?”

“Cristo Andy, non è un punto a caso, è un cantiere! Vacci e basta! Pensa quello che ti pare ma muoviti!”

L’ispettore serra la mascella, leggo la rabbia correre sul suo viso come un’ombra inquieta ma si alza, apre la bocca, la chiude, e finalmente sibila: “Ti chiamo appena sono arrivato.”

“Grazie” sussurro al rettangolo nero della webcam.

Vado avanti e indietro per il corridoio a piedi nudi, non mi importa di nulla adesso, sono così nervosa, mi sento in colpa per essere troppo lenta, troppo stupida, sento che le travi del soffitto sono pronte a schiacciarmi, e in bocca il sapore della terra, il formicolio delle membra. Il ticchettare dell’orologio rimbomba nella mia testa come lentissime salve di cannone. Che fine ha fatto? Perché non chiama ancora? In una foto Alessia è in bici, indossa una tuta da ciclista gialla e il caschetto, è arrivata seconda a una gara di mountain bike. Di lì a una settimana un dottore avrebbe detto: “Mi spiace, è rimasta in assenza di ossigeno per troppo tempo, non c’è stato nulla da fare.” È così che mi sento adesso.

Dopo novantasette minuti infiniti squilla il telefono. “Pronto? L’avete trovato? Come sta?”

L’ispettore risponde e io mi appoggio al tavolo perché la cucina è una giostra impazzita.

Sette

“Sicura di stare bene? Hai una faccia.”

“Sì Andy, sto bene.”

“Ho sentito l’ospedale dieci minuti fa. Mattia è uscito dal coma, sta bene, siamo arrivati appena in tempo. Quando l’ho visto impiccato al ponteggio del cantiere a momenti svengo. Che bastardi schifosi. Si è tenuto alla corda per non morire con tutta la forza che aveva, dovevi vedere le sue mani erano gonfie, orribili. Un solo minuto in più sarebbe stato fatale.”

Lo so cosa vuol dire un minuto un più, lo so bene.

Ho riaperto la finestra, sento odore di lavanda, il canto degli uccelli, respiro a fatica ma sorrido, sono felice, proprio felice.

“Vuoi un caffè?” chiedo.

“Sì grazie, ma non cambiare discorso. Non vado via da qui finché non mi spieghi come ci sei arrivata. E dovresti dare una mano di bianco a questo posto.”

“Sei il peggior ospite che abbia mai avuto.” Rido, lui accavalla le gambe, apre le mani per invitarmi a parlare.

“Ho controllato su Maps” faccio io.

“Chiaro.”

“Tonino Ferri era uno scomodo, uno che scavava nel torbido e, all’improvviso, si suicida in un cantiere sulla SS35 all’altezza di San Martino Siccomario tornando da un’intervista.”

“Sì lo so.”

“San Martino Siccomario è un paese a venti minuti da Pavia.”

“E sappiamo anche questo.”

“Mattia si trasferisce a Pavia sei mesi dopo la morte del padre.”

“Dimmi qualcosa di nuovo o mi addormento.”

“In piena pandemia Traini chiude la Magnolia srl per aprire una nuova sede fuori X.”

“E io ho rigato la macchina su un muretto stamattina.”

“Non sono pazza.”

“Certo che no, ma lo sai che i pazzi si assecondano.”

“Ascoltami e basta. Mi sono fatta dare i tabulati dal provider per gli IP. Non guardarmi in quel modo, ho chiesto a una mia amica, non ti dirò mai chi è, e lo so che è illegale, ma il Garante può anche andare a farsi fottere.”

“E si fotta.”

“Il range era assegnato agli uffici della Magnolia di via Mazzini.”

“E la madre di Mattia si è presa delle multe nella ZTL nell’ultimo mese prima che chiudessero del tutto. Perché parcheggiava lì se lavorava da tutt’altra parte?”

“Esatto. Ti do un altro indizio, lo sai di chi era il cantiere?”

“Quello sulla SS35? No.”

“Controlla su Maps, ecco, guarda.”

“C’è un distributore di benzina.”

“No, il cantiere era più dietro.”

“Cribbio. Let me play scommesse sportive.” L’ispettore schiocca le dita.

“Il cantiere era della T.Trade ltd. Capito questo non ci è voluto molto, ho fatto un paio di ricerche, e sai  chi è nella board dell’azienda?”

“Traini?”

“Bingo. Scusami, devo scaricarmi, aspetta lì.”

Mi alzo, cammino intorno al tavolo tre volte, scuoto le mani, caccio un urlo.

“Mi hai fatto prendere un colpo!”

“Ti avevo avvisato.”

L’ispettore scuote la testa, il caffè viene su, gli avvicino la tazzina, il vento entra nella stanza, la gola si fa  rigida.

“Vuoi che chiuda?”

“No, ancora no.”

“Continua allora.”

“Metto insieme i pezzi. Ferri viene fatto sparire perché aveva scoperto qualcosa su Traini e si era messo in contatto con qualcuno della T.Trade ltd per incastrarlo. Io credo riciclaggio di denaro. Mattia non si dà pace, leggi i suoi post su Facebook, ma lui e sua madre non sapevano nulla, Tonino teneva tutto per sé nel suo computer.”

“Fatto sparire anche quello, ovviamente.”

“Sì. Mattia si trasferisce a Pavia per scoprire chi ha ucciso il padre cercando di entrare nei loro sistemi attraverso il wi-fi, che è più vulnerabile.”

“Ecco perché doveva essere vicino.”

Io bevo un lungo sorso dalla mia tisana, meglio evitare il caffè, e proseguo: “Mattia deve aver fatto gli stessi collegamenti che ho fatto io, e voleva sfruttare lo smantellamento degli uffici di via Mazzini per trovare qualche appiglio, una vulnerabilità nel sistema che sarebbe stato spento e trasferito, ma è scoppiata la pandemia.”

“E ha chiesto alla madre di aiutarlo. Povera donna, che riposi in pace.”

“E gli assassini usano lo stesso modus operandi, lo fanno sembrare un incidente. Con Mattia sospettato hanno deciso di farlo suicidare come il padre. Speriamo che le impronte portino a qualcosa, ma ne dubito.”

L’ispettore sogghigna. “Almeno adesso abbiamo del materiale su cui lavorare, un testimone, e ho già parlato con i colleghi di Pavia che riapriranno le indagini. Bel lavoro, signora consulente. Ora però devo andare, c’è la conferenza stampa e il commissario già è in fibrillazione solo perché può tirare in mezzo Traini.”

Io mi alzo, gli stringo la mano. “Ti spiace se non ti accompagno?”

“Tranquilla, trovo la strada da solo. Fai ritinteggiare!”

“Sissignore.”

La porta si apre e si chiude. Mi avvicino alla finestra, tremo, ma va bene. Sono le 14 e 47, un nuovo record, devo scriverlo nel diario.

Dalle foto Alessia mi guarda, lo zaino in spalla, il sole in faccia e sembra dire: “Bel lavoro Furiosa, sono fiera di te.”

Fine